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Autore:Anna Orofino

Opzione put e patto leonino

giovedì, 15 ottobre 2015 da Anna Orofino

Un’opzione put, pur dando facoltà alla parte di cedere la sua partecipazione evitando di subire le perdite sociali può non costituire patto leonino

 
Con sentenza n. 9301/2015 del 06/08/2015, la Sezione Specializzata in materia d’impresa del Tribunale di Milano si è espressa circa l’eventuale qualificabilità della c.d. “opzione put” come patto leonino contrario al dettato normativo dell’art. 2265 c.c.

Va innanzi tutto chiarito cosa si intenda per “opzione put”. Essa può essere definita come ilcontratto in base al quale l’acquirente dell’opzione acquista il diritto, ma non l’obbligo, di vendere un titolo (azioni o quote di società in genere) ad un prezzo e ad una scadenza stabiliti, mentre l’altra parte, nel caso in cui vi sia esercizio di detto diritto, si impegna ad acquistare il titolo di cui avrà già incassato il premio.

Richiamandosi ad una costante giurisprudenza di legittimità (si vedano ad esempio Cass. Civ. Sez. I, n.24376/2008; Cass. Civ. Sez. II n. 642/2000; Cass. Civ. Sez. I n. 8927/1994) il Tribunale di Milano ha indicato due criteri specifici per la qualificazione del patto leonino: si applica l’art. 2265 c.c. esclusivamente nei casi in cui sussista l’esclusione dalle perdite o dagli utili di un socio in modo costante e assoluto e che tale esclusione non risponda ad interessi meritevoli di tutela.

L’opzione put, pertanto, non è contraria alla legge e in particolare all’art. 2265 c.c. se si inserisce in un più grande quadro complessivo tale da poterne escludere la non rispondenza ad interessi degni di protezione.

Nel merito, l’opzione prevista nel contratto tra le parti non poteva essere classificata come contraria alle norme di legge in quanto prevedeva un limite temporale, mancando quindi di costanza e assolutezza. Inoltre, la stessa si inseriva in un’operazione di integrazione societaria e industriale tra le due parti in causa finalizzata ad ampliare la quota di mercato nazionale ed internazionale di una delle due che, a causa della sua delicatezza, rendeva necessaria una tutela specifica.

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  • Pubblicato il Società e Impresa, Varie
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Trasferimento di quote e clausola statutaria limitativa

giovedì, 15 ottobre 2015 da Anna Orofino

La Corte di Cassazione ammette la cessione di partecipazioni sociali in violazione di una clausola statutaria di prelazione

Cass. civ. 8 aprile 2015 n. 7003

Dottrina e giurisprudenza si sono in più occasioni confrontate sul tema del diritto di prelazione dei soci in presenza di una clausola statutaria limitativa della libertà di trasferimento della partecipazione. Vi era concordia nel ritenere che eventuali patti parasociali potessero dare luogo unicamente a responsabilità risarcitoria per inadempimento nel caso in cui un socio, in violazione di un accordo di prelazione, cedesse la propria partecipazione a terzi. Invece, era discussa la natura reale della clausola statutaria e la possibilità per il socio di cedere le proprie partecipazioni sociali ad un terzo acquirente, estraneo alla società, senza aver preventivamente offerto tali partecipazioni agli altri soci e senza correre il rischio di subire il diritto di riscatto del socio pretermesso.

La Cassazione, con la pronuncia dell’8 aprile 2015 n. 7003, sembra aver definitivamente accolto la tesi che difende e afferma la validità e l’efficacia del diritto acquisito dal cessionario a seguito della cessione delle partecipazioni sociali, anche in violazione di una clausola statutaria che affermi il diritto di prelazione degli altri soci.

La Suprema Corte ha affermato, infatti, che è impedito al socio che abbia subito la lesione del proprio diritto di prelazione di pretendere ed ottenere il riscatto delle partecipazioni acquisite dal cessionario che, al contrario, manterrà immutato il diritto acquisito. Secondo la Cassazione, l’unico rimedio assicurato al socio escluso dal godimento del proprio diritto è la possibilità di rivalersi a titolo di risarcimento del danno nei confronti del socio cedente.

La natura statutaria del diritto di prelazione non è però senza effetto. Infatti, al terzo acquirente in violazione della prelazione è preclusa la possibilità di esercitare personalmente i diritti sociali che, al contrario, rimangono legati al precedente proprietario. Ne deriva che, ad esempio, il diritto di voto durante le delibere assembleari sarà esercitato dal cedente, su indicazione del cessionario, ovvero, in sede di distribuzione dei dividendi, le somme legate alla partecipazione sociale verranno assegnate al terzo acquirente.

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  • Pubblicato il Società e Impresa, Varie
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Mobbing

martedì, 29 settembre 2015 da Anna Orofino

E’ responsabile il datore di lavoro che consapevolmente non elimina la causa del mobbing provocato dal proprio dirigente

Con la pronuncia del 15 maggio 2015 n. 10037 la Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, è intervenuta nuovamente in materia di mobbing. La Suprema Corte ha ritenuto di dover rigettare i ricorsi presentati dal Comune di Colonnella e da un dirigente dello stesso a seguito della pronuncia della Corte d’Appello dell’Aquila che li vedeva soccombere nel secondo grado di giudizio promosso nei loro confronti da un loro subordinato.

La Corte, uniformandosi a quanto sentenziato dalla Corte di merito, afferma la responsabilità del datore di lavoro, gravato dagli obblighi ex art. 2049 c.c., che sia rimasto “colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo” argomentando che “il Comune non poteva essere scriminato dal danno arrecato alla lavoratrice”, anche qualora la condotta di mobbing non provenga direttamente dall’ente, ma da altro dipendente gerarchicamente superiore alla vittima.

Nel caso di specie, la Corte, dopo aver rilevato la correttezza e coerenza della motivazione della Corte di merito, ha ribadito che “la durata e le modalità con cui è stata posta in essere la condotta mobbizzante, quale risulta anche dalle prove testimoniali, sono tali da far ritenere che la sua conoscenza anche da parte del datore di lavoro, nonché organo politico, che l’ha comunque tollerata”, così da tacitare ogni motivo sollevato dal Comune di Colonnella.

 

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  • Pubblicato il Diritto del lavoro
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Fallimento e contratto preliminare

martedì, 22 settembre 2015 da Anna Orofino

La Cassazione torna sullo scioglimento del contratto preliminare

Con sentenza Cass. S.U. 18131/15, la Corte di Cassazione a Sezione Unite ha riaffermato l’orientamento già espresso nel 2004 (Cass. 12505/04) e messo in dubbio da alcune sentenze successive (Cass. 20451/05, 28479/05, 46/06, 542/06, 33/08, 17405/09, 9076/2014). La Suprema Corte ha chiarito che il promissario acquirente che abbia trascritto un’azione tendente ad ottenere l’esecuzione di un contratto preliminare di compravendita ex art. 2932 cod. civ. prima della sentenza dichiarativa di fallimento, può oppore alla curatela la sentenza che trasferisce la proprietà dell’immobile senza che il Curatore possa efficacemente sciogliersi dall’impegno contrattuale ex art. 72 L.F..

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  • Pubblicato il Accordi, Ristrutturazioni e procedure concorsuali
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